Viaggio di un piemontese alla scoperta del Cacciucco

nov 23, 15 Viaggio di un piemontese alla scoperta del Cacciucco

Dal Magazine culturale del Comune di Livorno del 18 novembre u.s.

Il Cacciucco Livornese, il piatto simbolo della cucina labronica, avrà la sua certificazione per essere il vero “Cacciucco Livornese Tipico Tradizionale 5 C”: 5 C in quanto 5 sono le c che lo contraddistinguono (spesso fuori città viene indicato come “Caciucco”) e perché il processo di preparazione della ricetta prevede che sia Caratteristico-Classico, Cucinato con Cura e Competenza.
La certificazione del piatto, necessaria per tutelare e valorizzare l’identità della ricetta, è stata al centro del convegno “Cacciucco Livornese tipico-tradizionale 5C “ che si è svolto mercoledì 11 novembre alla Camera di Commercio di Livorno promosso dalla ProLoco Livorno, in collaborazione con il Comune e la Camera di Commercio.
L’obiettivo è quello di tutelare e valorizzare l’identità della ricetta; informare, orientare e tutelare i consumatori, e diffondere, sia in Italia che all’estero, la ricetta livornese tipico-tradizionale del Cacciucco mediante la creazione e il lancio del marchio di certificazione, contribuendo, in un processo di marketing territoriale, a valorizzare e rinforzare l’attrattiva turistica della gastronomia tipica livornese.

Il protocollo di certificazione fin qui elaborato è frutto di un lavoro certosino e accurato condotto da numerosi soggetti e rappresenta il primo passo di un progetto complessivo di rilancio della tradizione gastronomica livornese che il prossimo anno vedrà l’organizzazione del primo Festival del Cacciucco.
Giuseppe Chionetti, responsabile del progetto per la ProLoco Livorno, spiega come è nata l’iniziativa e come lui, piemontese doc, ha conosciuto il piatto labronico più tipico e se ne è innamorato.

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Nonostante io sia un piemontese, ho sentito parlare di Cacciucco sin dall’infanzia quando durante le elementari (siamo a metà degli anni 50 del secolo scorso) trascorrevo quasi tutte le vacanze estive nella fattoria di mio nonno, vignaiolo nelle langhe.
Mi ricordo che c’erano delle splendide galline bianche e che mio nonno soleva dire a tutti con fierezza: “le nostre galline sono di pura razza livornese”.
Questo aggettivo m’incuriosiva perché richiamava un paese che io non conoscevo e che mi sembrava molto lontano, quasi esotico.

Mio nonno a Livorno c’era stato da giovane e io lo tempestavo di domande per sapere tutto di questo paese per me misterioso.
Egli mi raccontava che la gente non faceva tanti complimenti come noi piemontesi, era molto più schietta e non si faceva problemi a dirti quello che pensava, ma se avevi bisogno d’aiuto si faceva in quattro. Anche il mangiare era alquanto diverso, molti piatti erano a base di pesce e impiegavano molto peperoncino.
In particolare mi raccontava di una zuppa di pesce molto saporita che veniva chiamato Cacciucco, molto diversa dalla zuppa di pesce che fanno a Savona (naturale sbocco al mare delle langhe).
Quel nome pieno di C, mi suonava molto strano e mi faceva ridere, pertanto mi è rimasto impresso indelebilmente nella mente. Quando dopo una quindicina d’anni mi sono trasferito a Livorno con mia moglie, una delle prime cose che abbiamo fatto è stata quella di andare in un ristorante a mangiare un abbondante piatto del misterioso Cacciucco, che abbiamo molto gradito.

Il bello è venuto quando ad un gruppo di amici livornesi mia moglie, penna e quaderno alla mano, ha chiesto la ricetta di questo piatto.
Ognuno era depositario di quella vera, ovviamente diversa da quelle degli altri e la discussione che ne è nata è durata più di un’ora, con alternanza di toni accesi e insulti scherzosi.
Mia moglie per non scontentare nessuno rinunciò a prendere appunti, mentre io rimasi alquanto sconcertato perché non conoscevo ancora lo spirito anarchico e polemico dei livornesi ed ero abituato nelle langhe dove la “bagna cauda” e il “bonet” avevano le loro ricette “ufficiali” e nessuno le contestava. Questo sconcerto mi ha spinto al viaggio (durato più anni) verso la conoscenza di questa benedetta ricetta originale del Cacciucco.

La prima cosa che ho scoperto è che il nome Cacciucco compare scritto per la prima volta solo nel 1864 nel libro “GIUNTE ED OSSERVAZIONI AL VOCABOLARIO DELL’USO TOSCANO” di Giuseppe Riguntini, edito a Firenze “coi tipi di M. cellini e C.”  Alla voce Cacciucco si legge: “Cacciucco sost. Specie di vivanda marinaresca, composta di moltissimi ingredienti.  – Con maniera bassa Pigliare tutto il cacciucco, significa Pigliare insieme tutti in una volta.
Ordinariamente dicesi di arresti fatti dalla Polizia. Es.: Stamattina è stato preso il caporione con tutto il cacciucco.”
Anche se questo non mi ha aiutato ad individuare la ricetta, mi ha fatto però capire che il piatto non era certamente nato nei quartieri alti ed anche che se il termine era inserito in un vocabolario del 1864 significava che già entrato nell’uso comune e che pertanto era stato pronunciato per la prima volta parecchio, ma parecchio tempo prima (senza televisione e internet la diffusione di un nuovo termine era molto lenta).
Purtroppo mancava ogni riferimento all’etimologia del termine, che pertanto ho deciso di ricercare.
Consulto l’accademia della Crusca (il più importante punto di riferimento per le ricerche sulla lingua italiana) che per l’origine del termine Cacciucco riporta “il nome con cui il caratteristico piatto livornese a base di pesce ha fatto l’ingresso in lingua, deriva dal turco küçüklü, qualcosa di mischiato con oggetti più piccoli”.
Non contento passo a consultare l’enciclopedia Treccani dove per l’etimologia del nome cacciucco leggo “da un derivato del turco küçük «piccolo»”. Anche tutti i dizionari italiani più autorevoli mi confermano la stessa origine del termine.

Ma come e quando un turco avrebbe dato origine a questo termine a Livorno? Purtroppo non esistono precisi riferimenti storici scritti in tal senso. Però un certo aiuto mi è venuto da un articolo della rivista Società e Storia dal titolo – Il “turco” e l’inquisitore.
Schiavi musulmani e processi per magia nel Bagno di Livorno (XVII secolo) – a cura di Cesare Santus. Nell’articolo si può leggere: “importante era la concessione agli schiavi, cui era stato riconosciuto un buon comportamento, di gestire taverne e piccole botteghe fuori e dentro l’edificio: molti di essi avevano a pigione per una pezza al mese i botteghini che erano all’intorno del Bagno, e le baracche della darsena. Il “Bagno” costruito tra il 1598 e il 1604 per ordine di Ferdinando I, cessò di funzionare il 13 febbraio del 1750, allorché la maggior parte degli schiavi furono liberati”.

Si può facilmente immaginare il nostro turco (che possiamo chiamare Ahmet), a cui nel tardo 600 o ai primi del 700 era stata concessa la gestione di una taverna “all’intorno del bagno”, mentre propone ai suoi avventori la “balık çorbası” (Una semplice e buona zuppa di pesce, ma Ahmet aveva scoperto già allora che un nome esotico di una pietanza aumentava la sua attrattiva).
Quando cercava di comprare a poco prezzo piccoli pesci per la sua çorbası diceva al pescatore, che invece cercava di vendergli a caro prezzo pesci di grossa taglia: küçük balik (piccoli pesci), ripetendo l’aggettivo küçük rinforzato con il gesto dei due indici che ne indicavano la taglia.
Per questo il pescatore, con la tipica ironia canzonatoria labronica, soprannominò Ahmet “Cacciucco”, da lui il nome passò alla sua taverna e infine alla sua “çorbası”, che astutamente Ahmet (senza sapere che stava anticipando le moderne tecniche di  “naming” previste dal marketing) rinomò Cacciucco, visto che il nome piaceva, era originale, facilmente pronunciabile e facilmente ricordabile.

Il termine Cacciucco pian piano si diffuse in tutta Livorno e dintorni, finché Giuseppe Riguntini nel 1864 lo introdusse nelle “Giunte” al suo Vocabolario dell’uso toscano. Scoperta con fatica la plausibile origine del termine, ero sicuro che arrivare alla ricetta originale sarebbe stata ”una passeggiata”. Infatti possiedo una copia originale della terza edizione – corretta e ampliata – del libro “La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene” di Pellegrino Artusi. Il libro sulla cucina italiana, pubblicato per la prima volta nel 1891, è il più famoso e letto (vanta ben 15 edizioni curate personalmente dell’Artusi) da cui tutti i grandi cuochi dell’ultimo secolo hanno tratto ispirazioni e suggerimenti.
Con sorpresa leggo nella ricetta 1 (tralascio la ricetta 2 che lo stesso Artusi dichiara meno gustosa e la accredita a Viareggio): “…Per grammi 700 di pesce, trinciate fine mezza cipolla e mettetela a soffriggere con olio, prezzemolo e due spicchi d’aglio intero.
Appena che la cipolla avrà preso colore, aggiungete grammi 300 di pomodori a pezzi, o conserva, e condite con sale e pepe.
Cotti che siano i pomodori, versate sui medesimi un dito d’aceto se è forte, e due se è debole, diluito in un buon bicchier d’acqua. Lasciate bollire ancora per qualche minuto, poi gettate via l’aglio e passate il resto spremendo bene. Rimettete al fuoco il succo passato, insieme col pesce che avrete in pronto, come sarebbero, parlando dei più comuni, sogliole, triglie, pesce cappone, palombo, ghiozzi, canocchie, che in Toscana chiamassi cicale, ed altre varietà della stagione, lasciando interi i pesci piccoli e tagliando a pezzi i grossi.
Giunto il pesce a cottura e fatto il cacciucco, si usa portarlo in tavola in due vassoi separati; in uno il pesce asciutto, nell’altro tante fette di pane, grosse un dito, quante ne può intingere il succo che resta, ma prima asciugatele al fuoco senza arrostirle”.


”Per un cacciucco del 2000” (Aldo Santini, 2008, Debatte Editore)

Con mia sorpresa non compariva nella ricetta alcun tipo di molluschi, né polpi, né seppie e tanto meno cozze. Capisco allora che la ricetta si è molto evoluta con il tempo e osservo anche, con tutto rispetto, che l’Artusi non era livornese e a Livorno c’era stato al massimo una o due volte. Seguendo quindi l’ordine cronologico passo a leggere la ricetta dello scrittore, pittore e critico d’arte Gastone Razzaguta (Livorno, 1890-1950) riportata in “Livorno Nostra” nel 1915. “E preso un tegame ci messero dell’olio d’oliva e della salvia e dell’aglio tritato e del sale. E fecero soffriggere e rosolare bene. E poi allungarono con acqua e pomodoro a pezzi.
E drogarono con pepe e molto zenzero. E fecero ritirare quell’intingolo. E poi presi polpi e gattucci e gronghi, li tagliarono, e ci aggiunsero scorpani e gallinelle e cicale intere. E tutto buttarono nell’abbondante salsa tirata. E fecero foco lento perché cuocesse e saporisse bene. E poi affettarono molto pane e l’arrostirono e lo strusciarono coll’aglio. E ci versarono sopra quella broda col pesce. E chiamarono quella vivanda piccante: Cacciucco.”

Con questa ricetta del 1915 (probabilmente quella che aveva gustato mio nonno) il mio disorientamento di “piemontese adottato“, che incominciava a capire ed apprezzare lo spirito livornese, era alquanto diminuito. Leggendo la ricetta di Aldo Santini nel volume “Per un cacciucco del Duemila” (Livorno 2008) e il recente libro del gastronomo prof. Paolo Ciolli “Il cacciucco”, con edizione in inglese “The cacciucco”, il mio lungo viaggio alla scoperta del Cacciucco (e dello spirito livornese) era finalmente terminato ed ero pronto a collaborare con la Proloco Livorno per la certificazione condivisa del Cacciucco livornese tipico-tradizionale 5 C: Caratteristico, Classico, Cucinato con Cura e Competenza.

Giuseppe Chionetti

(Pro Loco Livorno, responsabile del progetto “Cacciucco livornese tipico-tradizionale 5 C”)

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